Big Data: cinque fatti per comprendere questo fenomeno


Quando parliamo di Big Data, qual è reale portata e quali sono le implicazioni di questa parola? Ecco allora cinque fatti che posso aiutare a comprendere il fenomeno e i motivi per cui è destinato a cambiare il modo in cui viviamo e lavoriamo.

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Per enfatizzare l’importanza di qualcosa, gli anglofoni tendono ad usare spesso l’aggettivo Big: Big Bang, Big Apple, Big Brother, perfino Big Mac.
Niente di strano quindi che all’inizio del nuovo millennio il termine Big Data abbia cominciato a diffondersi per sottolineare il ruolo delle informazioni, divenute la nuova linfa delle economie. Dunque, un ruolo fondamentale quello del Data Scientist, come ci ha confermato anche la Data Scientist Senior Supervisor Lottomatica Luana Paponi, all’ultima edizione di Campus Party: si tratta di colui che, all’interno dell’azienda ha la capacità di comprendere e gestire questa infinita quantità di dati, traendone informazioni rilevanti altrimenti incomprensibili.

Ma quando parliamo di Big Data, qual è reale portata e quali sono le implicazioni di questa parola? Ecco allora cinque fatti che posso aiutare a comprendere il fenomeno e i motivi per cui è destinato a cambiare il modo in cui viviamo e lavoriamo.

  1. La quantità di dati che produciamo ogni giorno è stupefacente. La maggior parte delle nostre azioni quotidiane – fare una telefonata, navigare sul web, comprare senza contanti, inviare una mail – genera un flusso di dati che viene immagazzinato e conservato. Le ultime statistiche, già vecchie per definizione, parlano di un ritmo di circa 2 miliardi di gigabyte al giorno.

 

  1. Per farsi un’idea della rapidità di questa espansione, basta pensare all’evoluzione delle unità di misura dei dati: nel dopoguerra c’erano i bit, subito raggruppati in byte (l’insieme di 8 bit). Presto sono arrivati i kilobyte e i megabyte. Oggi, un normale hard disk si misura in gigabyte o terabyte.
    Un esperimento del CERN di Ginevra produce in pochi secondi diversi petabyte di dati, mentre ogni giorno l’intera rete internet ne produce circa 1 exabyte e la dimensione del nostro universo digitale viaggia nell’ordine degli yottabyte.
    Ma data la continua accelerazione, è già pronta una nuova unità di misura: il Brontobyte.
  2.  I Big Data sono la benzina che alimenta lo sviluppo di algoritmi, intelligenza artificiale e machine learning. Dall’automazione del lavoro, alla medicina predittiva, dalla trasformazione energetica all’esplorazione dello spazio, dal marketing alla personalizzazione della finanza, i passi avanti in questi campi sono tutti basati sull’analisi di enormi quantità di dati.
  3. In natura i Big Data esistevano ben prima dell’arrivo dell’epoca digitale: per immagazzinare le informazioni necessarie a creare un neonato, servirebbe un server grande 2mila volte il Titanic, che era lungo 270 metri. È difficile rendersene conto perché la natura è riuscita a condensarle nel DNA.

 

 

  1. I dati servono a espandere la nostra conoscenza e prendere decisioni più consapevoli, anche fuori dall’ambito economico-commerciale. Capire meglio l’origine del nostro universo è un esempio: nel 1929, l’astronomo Edwin Hubble ha dimostrato che l’universo è in espansione analizzando i dati provenienti da 24 galassie, gettando le basi della teoria del Big Bang. Grazie a telescopi più potenti, alla fine del secolo altri astronomi hanno potuto osservare migliaia di galassie, individuando al loro interno 42 supernove, ovvero stelle in esplosione. Questo ha rivoluzionato le teorie precedenti perché si è capito che l’espansione dell’universo non è costante ma accelera. I telescopi di oggi sono in grado di catturare quantità infinitamente superiori di dati: si stima che, entro il 2030, il nuovo telescopio LSST avrà scoperto circa 1,5 milioni di supernove, testando ancora una volta le teorie precedenti e dando risposte a domande che oggi non sappiamo neanche a formulare.
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